sabato 18 settembre 2010

La campagna acquisti del premier legittima un governo diverso dopo il suo

Pubblichiamo da Il Messaggero l’intervista a Pier Ferdinando Casini di Claudio Rizza

Nel giorno in cui la campagna acquisti per rafforzare il governo, e dare meno peso ai voti finiani, sembra un miraggio o un film mai esistito, dopo l’incredibile fumettone estivo che si fa finta non esista più, Pier Ferdinando Casini inanella tutte le sue perplessità. Deve fare i conti con il solito Cavaliere double face: a cena in casa Vespa, ai primi di luglio, il leader centrista respinse le avances del premier che lo sondava per farlo entrare in maggioranza e sostituire così ai finiani i voti udc replicò che «i trasformismi» non lo interessavano e che solo con le dimissioni e l’ammissione della non autosufficienza della maggioranza di governo si sarebbe potuta aprire una fase politica nuova.
Due mesi dopo Berlusconi, dopo aver subìto il “vade retro” da Bossi, s’appella direttamente agli elettori centristi, invitandoli a non dar retta al loro leader. Ma Casini, granitico, ripete lo stesso ragionamento. «Di un’area di responsabilità nazionale il Paese avrebbe bisogno. Ma non c’è bisogno di nuovi trasformismi né di compravendita di deputati. Serve un’area di responsabilità vera e credo di avere qualche titolo per farne parte. Noi siamo stati in questi due anni un’opposizione repubblicana, fino in fondo. Abbiamo privilegiato le scelte del Paese anche quando queste, stando all’opposizione, potevano essere scomode».
Casini ricorda il copyright Udc sul legittimo impedimento o il sì sul Lodo Alfano, pur di togliere al premier l’alibi paralizzante di essere vittima del complotto giudiziario e di costringerlo a governare. I centristi hanno la coscienza a posto: «Abbiamo cercato di lavorare per creare un clima migliore tra magistratura e politica, e la nomina di Vietti a vice presidente del Csm è stato il suggello di un percorso. Il nostro codice genetico parla di responsabilità verso il Paese, della necessità di ricostruire e di non dividere. Stessa cosa vale per chi cerca di spaccare l’Italia tra Nord e Sud: un lusso che non ci possiamo permettere».Gli sfasciacarrozze da una parte, impegnati a dividere tutto e tutti, e i moderati di qua a cercare dialogo, confronto, unità del e nel Paese. E adesso, dopo aver proposto «un governo di responsabilità nazionale», (definizione casiniana) i berlusconiani hanno trasformato il nome nella caccia al “gruppo di responsabilità nazionale”, cioé a quei 20 voti ancora latitanti. E’ un copione che invece porta ad uno scenario di grande irresponsabilità. Il leader centrista ragiona: «Il premier ha detto che la sua stella polare è la lealtà ai suoi elettori. Condivido. Proprio per questo gli abbiamo chiesto un atto di responsabilità, di dimettersi, per aprire una fase politica nuova, e di rivolgere un appello a Udc e Pd per assunzione di responsabilità nuove in un periodo straordinario per il Paese. Questa è la scelta minimale per instaurare un dialogo vero e serio con il nostro partito».
Ma il Cavaliere, pressato dai niet di Bossi che con l’Udc non vuole avere a che fare, il dialogo vero lo vuole solo con gli elettori. O con i transfughi convinti a cambiare casacca. Allora però la contraddizione è massima, perché non si può tuonare contro i ribaltoni, sostenere che Napolitano tradirebbe la Costituzione se, caduto il governo, non si andasse subito alle urne, quando poi si considera lecito imbarcare deputati e senatori succhiandoli all’opposizione, non solo centrista ma persino dipietrista. Casini lo dice chiaro: «E’ il più grande atto di autolesionismo politico che si possa vedere. Perché Berlusconi non capisce che facendo oggi campagna acquisti tra chi è stato eletto all’opposizione legittimerà, il giorno in cui si dimetterà, l’analoga campagna acquisti all’inverso, legittimando l’idea che sia possibile un governo dopo il suo, costruito su nuove campagne acquisti. Si vuole difendere dal ribaltone, ma le sue stesse azioni lo contraddicono». E quando il Quirinale dovesse trovarsi di fronte ad una maggioranza favorevole ad un governo di solidarietà nazionale per affrontare la crisi economica e cambiare la legge elettorale, perché mai dovrebbe dire di no?I centristi, pragmaticamente, sono scettici e non si aspettano dal premier atti di coraggio. Temono che il chiarimento in Parlamento non chiarirà un bel nulla e che l’immagine della politica, già così sbiadita, farà precipitare il rispetto da parte degli elettori, facendo impennare la spinta astensionista. «Perderebbe una grande occasione se facesse solo un appello ai sentimenti, un discorsino con tante buone intenzioni». Ma il timore è proprio quello. Berlusconi vive «nell’ossessione di cercarsi 316 voti che non avrà, fuori dal rapporto con Futuro e Libertà. Fini ha una posizione molto diversa dalla nostra: è stato eletto nella maggioranza, ha ribadito il suo impegno di fedeltà. Non vedo questa contabilità a cosa serva». L’autosufficienza sì che è un miraggio, ed è incredibile essere arrivati a questo punto dopo che si ha vinto con 100 parlamentari di vantaggio. «Prodi dopo due anni è andato a casa. Berlusconi si trova ridotto alla contabilità. Basta a dimostrare che non ci eravamo sbagliati: questo bipolarismo non funziona».E’ alla frutta. Basta guadare a quello che succede nel Pd. «Non ho capito, il dibattito sul Pd mi sfugge. Che ci sia chi contrasta una certa subalternità a Di Pietro o all’estrema sinistra lo capisco. Ma come questo possa conciliare la posizione di Veltroni e di Fioroni mi è incomprensibile. Veltroni ha messo il Pd nelle condizioni di liberarsi dai condizionamenti dell’estrema sinistra. Oggi non capisco qual è la linea alternativa. Constato solo che Pdl e Pd sono due giganti con i piedi d’argilla».
Ormai il fallimento del bipolarismo così com’è congegnato l’Udc l’ha denunciato in tutte le salse. La morale è che Lega e Di Pietro ingrassano, soprattutto Bossi che si ritrova al Nord con la possibilità di incalzare il Pdl più di prima: alle politiche per ogni voto alla Lega ce n’erano 4 del Pdl, ora il rapporto è uno a due. Perché mai Bossi non dovrebbe volere le elezioni? E perché Bossi non vuole accordi con Casini? «Non mi meraviglio che se la sia presa con noi. Siamo gli unici che si sono opposti al finto federalismo, che hanno denunciato l’imbroglio delle quote latte e chiesto una nuova politica per il Mezzogiorno che non spaccasse il Paese». Servirebbe pure una politica per lo Sviluppo, ma il ministro è ancora un desaparecido mentre tante imprese barcollano, servirebbero incentivi, nuove politiche, e nulla accade. Ma quel che è peggio è che ministro si sospetta possa servire a rinforzare la campagna acquisti, l’asso nella manica. Che tristezza doverne dubitare. «Speriamo almeno che prima del 28 il ministro sia nominato». Per salvare la faccia.